Riceviamo e volentieri diffondiamo uno scritto
appassionato di un senese che ama il suo Monte dei Paschi.
Lettera aperta al Sindaco Cenni a seguito della Sua intervista all'Unità del
24 Gennaio.
Ma come, signor Sindaco, non sono passati neanche sette anni da quando noi
Senesi siamo stati costretti a consegnare alla privatizzazione (cioè al Suo
partito) il Monte dei Paschi, ossia una banca tra le più dinamiche e redditizie
ed anche la più capitalizzata, più dotata di mezzi propri, insomma la più
solida d'Italia e forse d'Europa, e già si sente il bisogno di maggiore
dinamicità e redditività? Cos'è successo signor Sindaco? Avete battuto in
fulmineità e destrezza la vecchia Dc, che pure una certa fama di
sciuparicchezze se l'era fatta? Eppoi quanto al fatto che nuovi soci privati
comportino maggiori capacità di dinamismo e redditività (maggiori rispetto
agli amministratori che avete nominato nella Fondazione e nella Banca,
immagino), sta scherzando vero, signor sindaco? Ma
dove trova in Italia imprenditori privati che in fatto di banche abbiano
dimostrato più capacità, dinamismo
e redditività del Monte? Se ci fossero stati, una loro banca se la sarebbero
fatta già da tempo e da soli, non Le pare? No, in Italia si trovano solo
finanzieri d'assalto, quelli che prendono le società altrui, le svuotano e poi
ne ributtano sul mercato la carcassa: l'ha mai sentito dire, signor Sindaco? E
poi almeno una parola di scusa verso coloro, me compreso, che per cinquant'anni
avete convinto ad una guerra senza quartiere (sì, proprio una guerra con morti
e feriti veri) contro questi signori che oggi accogliete con le braccia aperte e
il sorriso che va da un orecchio all'altro, signor Sindaco, proprio non la
poteva spendere?
Dott. Cenni, Lei è "solo" il Sindaco (per giunta laureato in economia
e funzionario di banca) per cui non si può pretendere che conosca la storia del
Paese. Allora Gliene racconto un pezzettino io.
Le banche private in Italia, ossia quelle rette da quei privati che danno
maggiori garanzie di dinamicità e redditività, hanno cominciato subito, sin
dagli albori dello Stato unitario, a fallire. Sparirono tutte nella grande crisi
economica di fine Ottocento, tra il 1880 e 1890 (Banca Generale, Banca Romana,
Società di Credito Generale e decine di banche minori), trascinandosi dietro
ogni riserva finanziaria del Paese, per cui il sistema bancario italiano fu
ricostituito soprattutto con capitale privato tedesco. Ma anche le nuove banche
fallirono intorno al 1930 nel corso dell¹altra distruttiva crisi che seguì
alla prima guerra mondiale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco
Roma, due banche fiorentine poi confluite nella Banca Toscana, ecc.). I
fallimenti delle grandi banche
private sono poi continuati nel secondo dopoguerra e fino ad oggi nella stessa
misura, anche se in maniera più diluita nel tempo grazie a quel patto
internazionale del 1944 sul controllo dell'economia mondiale che va sotto il
nome di Bretton Woods (quell'accordo, lungi da impedire le crisi, riusciva però
a ritardarne gli effetti). Fatto sta che Banco Ambrosiano, Banca Privata
Italiana, Istituto Bancario Italiano, Banca d'America e d'Italia oggi non sono
che un ricordo. Nessuna grande banca privata è sopravvissuta a questa ecatombe
lunga più di un secolo, tranne la Banca Nazionale dell'Agricoltura, che però,
come sappiamo, arrivò alla fine del secolo, prima del salvataggio, in coma. E
ciò senza contare le centinaia di banche minori in crisi nel frattempo
assorbite, viste le condizioni in cui versavano le banche private,
esclusivamente dalla banche pubbliche. Perché questa è la realtà: alla fine
si è scoperto che nelle grandi crisi che travolgevano le banche private, le
allora minuscole banche pubbliche, grazie all'oculatezza ed alla secolare
esperienza accumulata dalle comunità a cui appartenevano, erano invece
prosperate e cresciute fino a diventare il pernio attorno al quale girava tutto
il sistema bancario italiano, un sistema che si poteva alla fine chiamare tale
soprattutto per la presenza del San Paolo, della Cariplo e del Monte, valutate
in campo internazionale in assoluto come le migliori banche d'Italia. Ci vuole
spiegare allora, dott. Cenni, lo zelo con cui il Suo partito si è dato alla
privatizzazione di questi autentici gioielli
finanziari?
Una risposta posso azzardarla io. Mi ricordo che nel corso di un convegno
nazionale del Pds sul sistema bancario tenuto a Siena il 21.11.1996, l'allora
numero due della Confindustria Callieri, freneticamente applaudito da D'Alema
che presiedeva, definì "foresta pietrificata" (ossia inefficiente, un
freno allo sviluppo del Paese) il sistema bancario italiano perché soprattutto
in mani pubbliche. Chi scrive voleva domandargli - ma nel nome della libertà di
espressione non gli fu concesso - se forse al "non pietrificato"
capitale privato italiano, di cui Callieri stesso era uno dei massimi esponenti,
erano mancati i mezzi per la realizzazione di efficienti e aggressive banche
private che facessero scempio di quella foresta pietrificata, con guadagni in
proporzione e con grande vantaggio per la nostra economia. Domanda retorica:
infatti chi ci aveva provato era fallito ed allora perché rischiare ancora?
Assai più conveniente aspettare che la sinistra, finalmente al potere, servisse
alla razza padrona su un piatto d'argento e a prezzi di liquidazione quelle
straordinarie banche pubbliche italiane (fu un atto d'imperio di stampo fascista
perché lo Stato non ne era il proprietario) che per secoli avevano prosperato là
dove i privati avevano fallito. D'Alema, allora capo del governo in pectore, era
lì con la sua corte di "tecnici" per rassicurare i confindustriali a
tale proposito. E la giunta Cenni, come quella Piccini, tiene fede all'impegno
assunto da D'Alema: i finanzieri d'assalto privati hanno avuto e continueranno
ad avere il Monte a meno di metà prezzo. Ciò significa che alla Città resterà
una Fondazione che varrà sì e no la metà di quello che valeva il Monte prima
della privatizzazione: sono convinto che su questa operazione la sinistra si è
giocata il diritto di continuare a governare Siena.
P.S. Nessuno si azzardi a pensare che questa mia sia una posizione di destra.
Qui di destra (sia chiaro, una destra che comprende anche Rifondazione
comunista) c'è solo la svendita del patrimonio pubblico.
Esattamente quello che vuol fare anche Berlusconi in campo nazionale. E non
lasciamoci ingannare: la destra senese, sulla questione Monte, è assolutamente
appiattita sulla (si fa per dire) sinistra. E' solo inviperita perché è
esclusa dal festino.
Mauro Aurigi |