In questa città si è persistito tanto nell' amore
per l' indipendenza del pensiero da non permettere mai che prendessero piede in
Lucca i Gesuiti e l'Inquisizione . Questa frase, buttata là senza retorica
nella Storia di Lucca di Lazzareschi e Pardi, sorprende e incuriosisce viste le
prevenzioni che tuttora circolano in Toscana a proposito di Lucca: Lucca guelfa
e papalina, la Città dalle novantanove chiese, Lucca bacchettona e codina, una
provincia bianca in una Toscana rossa, Lucca
democristiana e via di seguito...
L'impressione che si trae ripercorrendo con calma un carteggio custodito
nell'Archivio di Stato sull'ammissione dei gesuiti in Città, è che i Lucchesi
siano sempre stati, prima e soprattutto, solo Lucchesi.
In ottant'anni, con 480 governi (sei ogni anno), in fatto di Gesuiti e
d'Inquisizione, l'atteggiamento non ha mai registrato il minimo cambiamento, pur
tra professioni di fede e di filiale umilissima
devozione; e questo finché è durata la Repubblica. A questo si aggiunga che
Lucca fu "la più protestante città d'Italia" e sede, secondo Philip
McNair, "della prima ed ultima facoltà teologica riformata nell'Italia
pre-tridentina". Non era poco, per tempi in cui l'Inquisizione romana era
di fresca istituzione (Paolo III, 1542). In definitiva l'azione dei Governi
lucchesi fu sempre ispirata a una scrupolosa laicità, ritenuta irrinunciabile
garanzia di libertà e d'indipendenza di pensiero e
scevra da ogni fondamentalismo. Ne fa fede, appunto, la lotta
diplomatico-epistolare, ingaggiata e vinta dalla Serenissima con la Santa Sede
per impedire ai Gesuiti l'ingresso e l'insediamento nella
Città.
Come nei rarissimi Stati rispettosi della libertà degli individui, e dei
gruppi di individui, anche a Lucca ci si adoprava affinché gli interessi di
parte, economici o spirituali che fossero, non portassero nocumento
all'interesse della Comunità. Il Governo si muoveva con prudenza estrema tra
gruppi di pressione che agli occhi della Serenissima dovevano apparire enormi,
inarrestabili, come gli eserciti messi in campo dall'Impero o le paure
dell'inferno messe in campo dalla Chiesa.
In questo scenario, siamo in piena inquisizione, ricordiamolo, e gli Stati
si erano schierati con la Chiesa contro gli eretici (l'eresia religiosa
costituiva una concreta minaccia per l'ordine costituito),
qualsiasi variazione che potesse turbare un equilibrio precario veniva valutata
attentamente e possibilmente, rinviata al mittente. E in questo scenario giunse
a Lucca da Roma, con lettera dello sp Ottavio Saminiati datata 27 gennaio 1581,
la notizia di come i Padri Giesuiti trattassero di mettere in questa Città,
casa o Convento dell'Ordine loro, sotto nome della Compagnia di Giesù, chiamati
Giesuiti e da altri Teatini.
Gli Anziani nominarono una commissione di sei cittadini che si occupasse della
cosa. I Sei inviarono a Roma uno di loro, Salvatore Guinigi, in veste di 007,
debitamente istruito a ritrovare il molto magnifico et eccellente signor Parensi,
esperto di faccende papali e di gesuiti, metterlo al corrente che il Consiglio
riteneva che "in modo alcuno questi [Giesuiti] non venghino ad habitare
nella città nostra, essendo questa di qualità che non può, senza manifesto
pericolo, recettare simil sorte di huomini", e infine di indagare
sugli umori romani.Il 12 aprile 1581 il Guinigi riferì agli Anziani del
colloquio avuto in gran segreto e delle impressioni ricavate da sondaggi ad alto
livello in una lettera di cui riportiamo uno stralcio.
"(...) Giunsi a Roma alli 6 del presente, e fui il giorno medesimo
con l'amico, e li conferì il negotio, secondo le SS.VV. mi havevano ordinato:
il quale ne sentii molto dispiacere, considerando che questi huomini sono di
qualità, che quando mettono il piede in un luogo, fanno come il riccio, e
cercano sempre di tirare a loro; che Teatino non vuol dire altro, che tira a te;
e perciò non pigliano nella loro Religione (Ordine) furfanti o poveri, ma
cercano di subornare giovani ricchi, che
possino portare molto utile; e chi li ha per vicini, non si tiene padrone del
suo, perché se li viene volontà di allargarsi, bisogna star forte; chi ha la
vigna vicina alla loro, bisogna che commetta al
vignarolo che chiuda la porta subito che li vede, perché applicandoci l'animo,
saria perduta; e che il fine loro è di mangiare bene, e bevere meglio, e di
governare tutte le cose nel tempo e nello spirituale,
con malissima soddisfatione dell'universale, e con pericolo che un giorno non
segua qualche disordine notabile. Onde conchiuse che, bene e non tirate
sarebbero quelle fatiche che s'impiegassero per tenerli lontani,(...)"
Il Guinigi scopre anche che, con l'avallo di papa Gregorio XIII (Ugo
Boncompagni di Bologna), era già stato deciso di comprare il Priorato di S.
Giovanni per stabilirvi la sede lucchese dei Gesuiti. A tal fine era stato
contattato il Priore stesso, all'epoca il Reverendo M. Christofano
Turrettini, che li darebbero ricompensa anche di maggior valore. Messer
Turrettini, in quel tempo anch'egli a Roma, conferma la cosa a Salvatore Guinigi
informandolo che..." si disegnava che si fabbricasse un Collegio, perché
vi si leggessero ogni sorte di lettioni, acciò che la gioventù, che havea da
venire al governo della Repubblica, fusse ben instrutta". Era proprio
quello che la Serenissima temeva e che intendeva
assolutamente evitare. Scongiurato dal Guinigi a non cedere alla proposta,
ricordandogli "quanta alteratione portino alla città le nuove religioni, e
come ogni buon cittadino era obligato a rimuovere li pericoli dalla sua
patria", il Turrettini, riuscì a declinare l'offerta adducendo motivi
personali, in effetti per il timore malignamente insinuato dal Guinigi, che in
caso di morte del papa, "quanto a ricompensa, potrebbe ancora restare in
bianco". Fu il granello di sabbia che inceppò il primo tentativo di
introdurre a Lucca la nuova Religione.
Quarant'anni dopo, nel 1624, regnante Urbano VIII (Maffeo Barberini di
Firenze, sotto il cui pontificato si svolsero i processi a Galilei e a
Campanella), con lettere da Genova e da Roma, giungono a Lucca notizie
allarmanti su "come si negotiasse di sopprimere la Religione dei Padri
di S.Maria Cortelandini per unirla ai Giesuiti". Questa volta fu
inviato a Roma , Attilio Arnolfini che procurasse d'impedire tale unione. Un
aiuto prezioso giunse inatteso da Firenze dal cardinal
Capponi, che fece sapere "di dare calore al negotio, acciò la Repubblica
potesse conseguire l'intento suo". L' Arnolfini invero trovò papa Urbano
VIII disposto a compiacere la Repubblica di cui conosceva l'avversione a
ospitare i gesuiti. Ebbe solo da far fronte alle perorazioni del card. Barberino
che insisteva sull'argomento, ma se la cavò da par suo rimarcando "che
hoggi havevamo in mano un certissimo e presente gran bene, che però non
conveniva, né per conscienza, né per
buon governo, che eleggissimo di lasciarlo per un altro futuro et incerto
bene". Lucca e la Repubblica tenevano bene...
Nel 1651, con Innocenzo X (Giambattista Pamphili di Roma) vengon fatti altri
tentativi d'introdurre i gesuiti a Lucca, "con occasione di anteporre
temperamenti all' eccellentissimo Consiglio per l' educatione della gioventù;
ma dopoi moltiplicate revisioni, l'eccellentissimo Consiglio restò servito di
metterlo da parte, e non volerne sentire più trattare".
Invece nove anni dopo, nel 1660, Alessandro VII (Fabio Chigi di Siena) ci
riprova. E Carlo Guinigi che è a Roma per trattare il "negotio delle
Marine fra la Republica Eccellentissima et il Capitolo della Catedrale"
(un'appendice matildina) in cui è coinvolta anche la Spagna, ai primi di
febbraio informa il Consiglio dell'incarico, affidatogli dal Papa, di richiedere
alla Repubblica l'ammissione dei Padri giesuiti, come era avvenuto, ha
sottolineato il Papa, anche a Venetia dove .."fu questo
negotio molto arduo e difficile, ma in gratia nostra si superorno tutte le
difficoltà". Il Guinigi non si sbilancia e accenna a possibili difficoltà
al negotio, assicurandosi però,"quando non riuscisse di
unirsi i voti de' cittadini in tal deliberatione, a disporre l'animo di Sua
Beatitudine a non sdegnarsene". Né perde l' occasione per
affermare:"Mi sono disposto a fare tutto ciò che sarà in mio potere per
servire alla Santità Vostra (...)" precisando subito però, che "io
sono obbligato a servire alla mia Repubblica con ogni attenzione". Il
giorno dopo un gesuita (Padre Paolo Ottolini) gli fa visita per esprimergli il
giubilo di tutta la Compagnia come se fosse cosa fatta, mentre una
"persona che non deve nominare" lo informa che i gesuiti contano già
di avere, a Lucca, le entrate del collegio Sinibaldo, il denaro che il Consiglio
dà ai maestri pubblici e la chiesa di S.Pietro
Somaldi. La notizia dell'incarico al Guinigi aveva già fatto il giro di
Roma e si erano già individuati e prenotati quattrini e immobili.
La lettera del Guinigi mette in subbuglio il governo della
Serenissima che convoca il Governo per il 24 febbraio; nel frattempo giungono
anche un Breve di Sua Santità accompagnato da una lettera del cardinale Chigi
datati 14 febbraio 1660, con cui si presenta la richiesta di introdurre i
gesuiti a Lucca rilevando come "fiorisce sì nobilmente fra i Padri della
Compagnia di Giesù la pratica e la maniera di insegnare, che tra le principali
città così dell'Italia come di altre provincie catoliche,
a pena rimane hoggi veruna, la quale non habbia ancor egli voluto
esperimentargli".
Il Consiglio valuta attentamente gli argomenti portati dal Papa a favore dei
gesuiti e, dopo aver avvertito la cittadinanza che "non pareva conveniente,
che per tutte le botteghe e piazze si parlasse
di loro con tanto strapazzo, come se si discorresse d'ammettere gli
Hebrei", passa a contestarli uno per uno con puntigliosità precisa e
inappellabile, qui brevemente sunteggiata.
1°- Che Lucca non aveva bisogno di un Collegio speciale
per educare i giovani.
2°- "Che il servirsi i Prencipi di loro nelle materie
politiche era forse il più forte motivo per tenerli lontani". (..) Che
"i Padri Giesuiti, quali ingerendosi, com'è loro costume, nelle materie
politiche, non li riuscirebbe penetrare (solo)le nostre attioni, ma l'intentioni
ancora, e così fare consapevole delle nostre debolezze i Principi
confinanti".
3°- "Che per quello riguardava la salute dell'anima,
non haveva bisogno la città nostra di nuove Religioni". 4°-
"Che se la Republica voleva qua persone Religiose d'intelligenza e valore,
non li mancava modo di ottenerle, e servirsi di loro senz'ammettere i Giesuiti".
5°- "Che la Republica non haveva bisogno di sottigliezze d'ingegni, poi
che mai era stata meglio governata, che quando i suoi cittadini erano
mercanti..".
6°- "Che doveva farsi con gravezza dell'Erario
pubblico (figuriamoci!).
7°-Che il dire di non poter fare acquisto di beni stabili
non bastava; l' esperienza ci haveva fatto conoscere, che un solo fraticello
haveva dato tanti fastidi alla Republica, da che poteva arguirsi quello
haverebbero fatto i Giesuiti" (non è chiaro a quale fraticello si fa
riferimento).
8°- "Che al particolare che si dice che i Giesuiti
non vogliono niente del nostro, sarebbe necessario che fossero vivi quelli che
havevano anche avanti tenuto questa opinione, e che vedessero, che già d'hora
possedevano in questo stato più di trentamila scudi; che bisognerebbe che
confessassero quanto si erano ingannati in simile credenza".
9°- Che c'era da chiedersi perché volevano venire a Lucca
"mentre erano nella maggior parte del mondo. Che si muovessero(..)per
salvare le anime, non poteva dirsi; che non essendo questo paese né la China
né il Giappone, volessero venirci per ricevere la corona del martirio, si
poteva escludere; bisognava concludere, che la sola causa era, che
riconoscendosi essi patroni del restante del mondo, non potevano soffrire di non
havere anche a dominare in questo piccolo angolo della terra".
10°- "E per ultimo, fu accordato da tutti, che si
dovesse dire no all'ammissione dei gesuiti senza mancar di rispetto al Papa, per
cui "presentemente dovesse rispondersi per le generali, senza assentire o
dessentire alla richiesta fatta".
Fu decretato pertanto che sei Cittadini, in base alle
informazioni, ai documenti e ai concetti esposti dal Consiglio, preparassero
"dentro l'hora del giorno di domani, sotto pena di scudi cinquanta per
ciascuno", le lettere di risposta, da approvarsi poi dal Consiglio stesso.
Le lettere scritte e approvate, furono poi spedite allo sp. Carlo Guinigi perché
le presentasse; di ciò dette conto il Guinigi con sua lettera delli 8 marzo, di
cui si riporta il passo seguente. "Nostro Signore gli haveva domandato qual
difficoltà credesse che facesse maggior forza per l' ammissione desiderata; a
che havea risposto, che altre volte havea sentito dare grande apprensione a
molti la facilità che hanno i Padri giesuiti nell' ingerirsi nell'interessi
temporali; come ancora credeva potesse adesso dispiacere, che, mentre si
trattava questo negotio col giuramento di secreto, essi si mostrassero così
bene avvisati di tutto. (..) Et havendo soggiunto, che chi haveva maneggiato
quest'interesse a Roma, saria stato necessario che havesse detto alla Santità
Sua la pura verità di tutto ciò che per l'addietro era succeduto, Sua
Beatitudine disse queste precise parole: Questi
giesuiti cominciano ad havere un quarto di frate: bisogna farli stare più
ritirati, e non permettere s'imbarazzino tanto".
E' l'inizio della fine della lunga battaglia. Il Cardinale detto di Santa
Susanna(?), fratello del Gonfaloniere in carica Bartolomeo Spada, avvicina
Nostro Signore e gli suggerisce di "dare proroga indifinita al negotio"
trovando il Papa consenziente a questa soluzione. Il 15 marzo 1660 ne dà
notizia agli Anziani perché possano "dirigere il negotio a questo fine,
anzi a questo silentio", e a questi non par vero di dare carta bianca al
Card. Santa Susanna, il quale ringrazia per l'onore
aggiungendo: "mi farò lecit di non entrarvi, potendo credere, che
già Sua Santità presupponga che resti l' affare come addormentato; onde non
stimo bene risvegliarne il proposito, e però consiglierò anche il signor Carlo
Guinigi ad astenersene".
E l'affare è tutt'oggi come addormentato.
Rimane da aggiungere la testimonianza dell' Ambasciatore di Spagna presso la
Santa Sede che riferisce per scritto, il 23 ottobre 1660, come sia stato
avvicinato dai Gesuiti e da questi richiesto di far dipendere l' "affare
delle Marine dal negotio" della loro ammissione a Lucca, suscitando però
le sue vive proteste e la riaffermazione della stima e della sua simpatia per la
Repubblica di Lucca.
Gli Anziani infine, il 16 novembre 1660, approvano una relazione stilata
da tre sp. cittadini e in cui è contenuto tutto ciò che ha riguardato il
contenzioso sulla mancata ammissione della Compagnia di Gesù nella Città di
Lucca. La relazione, in cui si rileva "che quando la Republica havesse
condesceso ad ammettere questa nuova Religione ne' suoi Stati, si sarebbe
potuto dire che havesse fatto un atto di pietà, ma non di prudenza", dovrà
servire ai posteri e sarà da riguardare a ogni elezione di pontefice o comunque
ogni qualvolta le circostanze lo richiedano, aggiornandola se necessario. Ed
è da questa relazione che si è brevemente sunteggiato questo articoletto ,
sperando di aver dato un'idea di quanto grande e diffuso fosse tra i Lucchesi
l'amore per la libertà e l'indipendenza
di pensiero. Non resta che chiarire che le frasi fra virgolette sono espunti
fedeli dell' originale, conservato presso l'Archivio di Stato di Lucca
-Serie A, Armario I, n° 53.2°.
Romano Redini
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